Trame e tragitti

 



TRAME E TRAGITTI 


Che cos’è un viaggio se non un tempo in un altro spazio. Che questo spazio sia vicino o lontano, conosciuto o sconosciuto poco importa, è la nostra attitudine al viaggio che fa la differenza. Predisporsi allo straordinario anche nello spazio più ordinario. 

Ho sempre amato viaggiare, forse perché fin da piccola il viaggio l'ho vissuto non come l'abbandono di un luogo, ma la scoperta di un altro, ed il treno è stato uno degli strumenti che mi hanno portato a nuove scoperte. Così ancora oggi, il treno resta il mio strumento di viaggio preferito. Oggi di nuovo decido di farmi trasportare da lui, in un altro spazio, in un altro tempo. Per fortuna mi basta poco, una spesa sostenibile anche dalle mie tasche sensibili. Scelgo l'abbigliamento con cura, né troppo né troppo poco, l’isola è inclemente, uno strato in più in meno può fare la differenza dopo dieci minuti di camminata tra le calli. Raccolgo la borsa, le chiavi di casa e mi avventuro fuori.

Nel giardino del condominio accerchiato dai palazzi, il sole lucida l’erba. È una di quelle giornate d'inverno che ti fa amare la sensazione pungente del freddo, spazzata via dal calore del sole non appena gli rivolgi il volto. 

Arrivo alla statale, mentre aspetto che le macchine lascino uno spazio sufficiente per passare, mi metto le cuffie e le connetto al telefono. A volte la colonna sonora naturale va bene, oggi ho bisogno di un sottofondo diverso, che mi lasci plasmare la mia personale realtà. Finalmente la strada è libera, attraverso, e premo play. 

Da lì in poi il percorso è campestre ma solitario, posso iniziare a prestare attenzione a ciò che accade dentro di me. Posso prepararmi al viaggio, sento risalire il senso di avventura. 

Attraverso il piazzale della stazione, lasciando indietro, con ogni passo, il peso della ripetizione quotidiana. 

La struttura relativamente recente del sottopassaggio, nella mia mente solletica immagine di futuri distopici e portali magici su altri mondi. In fondo viaggiare è anche questo, aprirsi al noto con occhi nuovi. 

La musica mi offre una trama, su cui costruire la storia di questo viaggio. Perché anche se la mia meta mi è più che nota, quasi familiare, non posso che scorgere in lei sempre nuovi tratti. Forse perché so che, sotto la sua apparenza, sempre più di parco a tema nasconde un carattere indomito e anche indolente, che sa unire la gioia di vivere la lentezza, con il desiderio di continuare a essere se stessa.

Attendo il treno in piedi, osservando il paesaggio di fronte a me, conosciuto ma sempre insolito. Scopro sempre nuovi dettagli, variazioni stagionali, umanità che straborda, mangiando a poco a poco ciò che rimane di ieri. Anche se, cambiando punto di osservazione, l'orizzonte si libera dalla presenza umana e mi offre solo cielo e alberi.

Mentre arriva il treno, attendo oltre la linea gialla, che anche oggi mi porterà come Dorothy alla mia destinazione. 

Salgo e trovo un posto, come al solito vicino ad un finestrino, sulla sinistra, in direzione di marcia, così che la musica nelle orecchie si fonde con il paesaggio che varia, virando dall'incolto all’industriale. Il lato sinistro è quello che preferisco, perché quando finalmente  si sorpassa il ponte che collega la terraferma all’Isola, mi offre la vista sul lato più antico,  piuttosto che sul serpentone in cemento che si erge dall'altro lato, come un burbero e bellicoso bastione.

Appena lasciata la stazione, la piccola oasi che si arrocca al limite dei binari, offre una faccia diversa, in una sorta di palude primordiale si vedono spuntare monconi di alberi grovigli di rovi, abitati da una fauna varia ma nessuna traccia di umanità. Il contrasto tra la sensazione di quiete che trasmette e la velocità a cui lo sorpassiamo crea una sovrimpressione disarmonica, come uno schermo fallace.

Le stazioni si susseguono. Mentre mi avvicino alla mia meta il paesaggio vira, delineando una traccia di inurbamento temporale sempre più spessa, che diventa schiacciante all'arrivo all’ultima grande stazione in terraferma.

L'architettura di questo luogo, retaggio di un passato storico che si ritrova e spunta ovunque, mi trasmette sempre un senso di impermanenza. In questo penultimo baluardo di modernità, provo sempre la sensazione che tutto sia in perenne moto, in perenne spostamento, quasi che il vento che spesso lo sferza scoraggiasse la sosta, permettendo solo la fermata, il cambio, e nulla più.

Il treno riparte e dal finestrino opposto osservo rapita gli scheletri industriali stagliarsi nudi, alcuni spogli ormai di qualsiasi attività produttiva. Dinosauri del nostro tempo, anche di loro forse resteranno solo le carcasse fossilizzate, ma ormai manca poco, a quel passaggio, a quello stacco/ distacco fisico dalla terra. 

Mentre la mia mente si perde per un istante in mondi fantascientifici, il mio sguardo cambia direzione. 

Questo momento mi coglie sempre impreparata, anche se lo attendo sempre con trepidazione. L'acqua infatti non appare di improvviso, serpeggia tra il paesaggio, si affaccia a poco a poco, fino a quando, resta solo il ponte, sulla laguna punteggiata di bricole e lembi di terra rubati. Lo sguardo d’improvviso si apre, quasi smarrito per il repentino cambio di profondità.

Sorpassato il piccolo isolotto che sembra quasi l'isola di un Robinson Crusoe lagunare, la vista si apre sull’isola, i palazzi che si stagliano sull'acqua contornati dalle rive, creano questa strana commistione di liquido e solido, di maestosità e leggerezza. Gli strani sfondi di riflessi che si creano, mentre la distanza si riduce e tutto diventa più reale, non fanno che accrescere il piacere di questo nuovo incontro.

Mentre il treno rallenta per entrare in stazione, spengo la musica. Qui la colonna sonora naturale è parte del viaggio. Ripongo le cuffie e mi preparo per questo nuovo incontro. L'entrata della stazione è, per me, un passaggio nel tempo. Da qui in poi, il passato, le storie, le vite si mescolano prepotentemente al presente, se si va oltre la superficie. 

Sull'isola è tutto più lento, e forse è più nel passato proprio per questo, la modernità la velocità, poco si adattano al suo ritmo pedestre.

Mi incammino verso il ponte e lo affronto con determinazione, sapendo che in cima mi aspetta il primo sguardo d'insieme, il Canale che invita lo sguardo, i palazzi che lo avvolgono e lo rinchiudono. Sorpassato il ponte, prendo la piccola calle di fronte, oggi ho stranamente una meta, e in questi casi sono sempre divisa tra la logica e la scoperta, così un po' mi avventuro, un po' seguo il percorso verso la mia destinazione, solo questo luogo rende possibile prolungare il tragitto e apprezzare l'eventualità di perdersi.

Il flusso di persone in questa stagione è più scarno, questo permette di cogliere quei piccoli dettagli svelati solo dall'assidua frequentazione, il piccolo cancello in ferro battuto, alla fine della calle cieca, il cui ricamo permette di scorgere una vera da pozzo incastonata in una piccola corte, o il piccolo ponte, stirpe architettonica così numerosa e utile in questo agglomerato di isolette, che rintanato alla fine della piccola calle, come molti suoi simili è uno di quei piccoli esempi di scoperta che si possono fare, il suo parapetto in ferro battuto, è un intricato ma ordinato decoro, uno dei vari strati di storia che si sovrappongono in questa isola. Dal ponte inoltre, ogni sguardo è nutrito da un diverso paesaggio, da una diversa prospettiva, se nei canali più ampi i palazzi incorniciano la veduta, qui la incanalano prepotentemente verso l'alto, anche solo per riflesso. È difficile non fermarsi, anche solo per un attimo. 

Lungo il tragitto faccio un inventario mentale dei cambiamenti che via via scorgo. Attività che aprono o chiudono, vecchi negozi, piccoli baluardi dell’anima di questa isola. Le persone invece, sembrano dividersi in tre gruppi: chi sa dove andare, chi non sa dove andare ma non ne è preoccupato, chi non sa dove andare ma vorrebbe saperlo ed è preoccupato, cerca un ordine in un posto dove ordine non c’è. In queste tre semplificazioni si può riassumere l’umanità che a volte prende d’assalto l’isola, troppo rumorosa per riuscire ad ascoltarne la voce, abbagliata solo dalla sua facciata. 

Io, ogni volta invece, mi fermo ad ascoltare i suoi rumori, le sue voci, fatte di chiacchiere, contrattazioni, convivialità, quotidianità. Questa è l’isola che amo di più, quella reale. 

Intanto che la mia mente si perde nel dedalo delle calli e dei pensieri arrivo a destinazione. In questo palazzo, dalla facciata quasi anonima, la storia e i viaggi custoditi nell’isola riemergono e si fondono in capolavori tessili. Oltre la piccola entrata, evidenziata solo da due rulli ricoperti di una stoffa opulenta ed elegante, nessuno può immaginare cosa si celi. Mai giudicare dalle apparenze.

Il covo tessile mantiene un profilo defilato, quasi anonimo, in netto contrasto con le opere che produce. Una perfetta miscela di arte, sfarzo e artigianalità. Un po' come l'isola che la contorna. 

Sorpassata la soglia quasi anonima, un piccolo corridoio decorato con le immagini della sua storia, lascia intravedere uno spazio più ampio, ma l’occhio è tratto in inganno, poichè, quando si mette piede nella stanza successiva, la si scopre sì ampia, ma gremita di oggetti che raccontano un'antica manualità. Gli antichi telai in legno paiono sostenuti dall'alacre massa di fili colorati, che contribuiscono con la loro materia, a tessere costruzioni magnifiche. Stralli temporanei eretti per il tempo di una tela.

Tutto è sommerso nella storia. 

Schemi di grafiche antiche sono ammassate da un lato, magari non più usate, ma comunque presenti nella trama di ogni nuovo pezzo. Il rumore del legno che fissa trama e ordito ad ogni passata parla di un ritmo di vita più lento. La luce è attutita dalle tinte del legno che ne ricopre delle pareti. 

Le matasse di filato ammassate sollecitano l'occhio e il gusto con accostamenti cromatici casuali ed inusuali, una sorta di preludio al rigoglioso cromatismo dei tessuti finiti che attendono nello spazio seguente.

Non riesco a fare a meno di pensare a quell'artista giapponese, creatore di meravigliosi mondi fantastici, e come questo luogo assomiglia agli ambienti da lui creati, onirico magico e così umano allo stesso tempo. 

La stanza successiva si affaccia sul canale e mostra le creazioni che l'ambiente precedente aveva solo anticipato. Stuoli di tessuti sollecitano il tratto e la vista. Il susseguirsi della stessa figura, la ripetitività, non annoia, anzi sorprende, offrendo allo sguardo attento mille sfumature che rendono ogni ripetizione unica, originale. 

Al tatto ogni parte della stoffa a una sua propria consistenza, i bordi, i contrasti, il ruvido sul liscio, non fanno che aumentare la bellezza del viaggio tessile che ogni pezza porta e nasconde in sè.

È difficile non farsi trasportare, la mente solleticata dalla storia, il corpo dalle sensazioni visive e tattili che ogni tela rivela, quasi che i viaggi passati, le scoperte e gli incontri vissuti dalle generazioni che si sono susseguite siano trasferiti, nella stoffa creata, intessuta dai mille fili che costituiscono le opere tessili, che ancora oggi vengono realizzate. 

II luogo intrappola lo sguardo ad ogni centimetro, promette scoperte inebrianti. Non riesco a smettere di scrutare i pannelli alle pareti, sfoggiano pattern geometrici che giocano con lo sguardo, falsano le percezioni così che, una materia piatta acquista corpo, profondità, identità. La magia della lavorazione artigianale restituisce mille sfumature, frutto della maestria, e non solo della materia. Ogni disegno, ogni colore espone il risultato dell'intricata semplicità dei nodi, come un sostantivo così semplice possa creare tali complessità, mi scatena ammirazione per le mani che ancora oggi ne custodiscono e tramandano i segreti.

È difficile decidere di varcare di nuovo la soglia e di ritornare alla normale velocità, ma la visita è finita, I colori, la materia, restano però nella memoria, piccoli campioni di bellezza a cui attingere alla bisogna. Esco ripromettendomi di tornare. 

Fuori tutto ritorna alla odierna velocità, ma l'isola come sempre mi sorprende. È quel tempo del giorno tra il tramonto e la notte quando le cose cambiano forma, vestite di ombre e luci. È l'ora che preferisco, l'imbrunire, quando i colori cambiano, il buio si intrufola tra le calli, e la sensazione di essere sospesa in un tempo mi coglie, per nulla impreparata. 

Al ritorno faccio quasi sempre un percorso diverso, è un po' una fase di decompressione, in cui abituo il mio cervello all'idea che anche questo viaggio volge al termine. Il tragitto, a quest’ora, cambia comunque forma, i palazzi prima chiari e visibili, sono ora spezzati, invisibili, coperti dalla sera. L'acqua diventa una superficie nera, mossa, quasi spessa. Le persone si diradano nelle calli, la luna restituisce un'immagine da cartolina in cima uno dei tanti campanili che costellano l’isola. Mi fermo in un campo semi deserto, attorno le voci arrivano dense come se il buio le appesantisse. I suoni della città qui non ci sono, più ci si allontana dal Canale più il rumore dell’umanità diventa preponderante. Attutito dalle finestre chiuse è anticipato dalle luci che si accendono nelle stanze affacciate alle calli. Continuo verso la stazione, alzando lo sguardo qua e là per scorgere i miei scorci preferiti. I capannelli del rito pagano quotidiano, lo spritz si formano, una mescolanza di visitatori e residenti si ferma, insieme, per celebrare la lentezza, la vacanza, la fine di una giornata, o l’inizio di una. Più mi avvicino alla stazione più aumentano le valigie, le facce divise, tra lo stupore e la stanchezza, la prima volta è sempre emozionante, un po’ li invidio. 

Sono di nuovo all'entrata della stazione, ancora un passaggio, questa volta al tempo odierno. 

Il viaggio di ritorno in treno non offre più il paesaggio di contorno, ma solo lampioni, finestre illuminate, stazioni, luci di automobili che tratteggiano una geografia diversa dall'andata. Osservo allora le persone che mi circondano e mi chiedo quali viaggi si nascondano dietro a quei visi? Quali ricordi sono condensati in quello zainetto, o contenuti dentro a quello smartphone? Alcune facce raccontano traversate pericolose, alla ricerca di un futuro che spesso tradisce, altri visi raccontano le prime scorpacciate di indipendenza, amicizie e complicità giovanili, alle quali il futuro sembra a volte così lontano. 

Se è vero che nel mondo contemporaneo è diventato molto più facile spostarsi, e ancora meglio, ogni località è godibile, almeno in parte dagli schermi di uno smartphone, riuscire a ricordare che viaggiare non è semplicemente “raggiungere una metà”, ma affrontare situazioni, cambiare sguardo, approccio. Non serve andare lontano, a volte basta un’avventura di un pomeriggio a risvegliare la curiosità, la voglia di conoscere, comprendere, imparare. 

Guardo fuori dal finestrino, ma vedo solo il mio riflesso, che non è più quello dell’andata. Ripenso alla giornata, alle cose nuove che ho scoperto, alle cose vecchie che si sono rivelate sotto un'altra luce, a come, ogni tragitto, possa trasformarsi in un viaggio.

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