Il primo Buio.

 


Il primo Buio.


Era quasi impossibile cercare, nel paesaggio sottostante, tracce di concomitanza con i dati visuali antichi. La lastra che li separava dal terreno sovrapponeva, in una sorta di video evolutivo, le immagini del passato alla visione del presente. Il risultato era un quadro meraviglioso, distorto e disturbante nel suo insieme. Non sembrava essere rimasta alcuna traccia del passaggio umano sulla superficie del pianeta. 

-Sinceramente mi sembra tutto così surreale- pensò Meria, mentre osservava la destinazione lentamente delinearsi al suo sguardo. 

Il gruppo di archeologi osservava rapito gli schermi. Davanti a loro, forse, si dispiegava l’Ultima Meta. Nessuno aveva ancora avuto il coraggio di dare voce a questa speranza, talmente fortuita la  loro scoperta. 

Il momento in cui il progetto “L’origine della Specie” aveva preso vita, per tutto l’equipaggio era solo una data nel passato, ma L’Organizzazione aveva minacciato, durante l’ultimo consiglio, di ridurre i fondi per la Ricerca. Una certezza era crollata, ed ora, quasi per caso, seguendo un frammento vocale che fluttuava nello spazio: “Un mondo a misura d’uomo, a cui manca Umanità…”, ecco la svolta tanto agognata. Il segnale debole, che si ripeteva in un ciclo ipnotico, li aveva portati qui. Ora, sotto di loro, forse galleggiava il pianeta da cui i loro antenati erano partiti.

I miti e le leggende che l’Istituto aveva raccolto, su cui ogni membro dell’equipaggio si era formato,  si sarebbero confrontate con la realtà. Al momento la realtà non sembrava all’altezza del mito.

La voce del Capitano riportò tutti al presente: “Equipaggio, questo potrebbe essere un momento storico per la nostra ricerca. Sotto di noi potrebbe esserci la Terra, Gaia, il Pianeta Primordiale. prepariamoci, ci attende molto lavoro.”.

Le sue parole mossero tutti all’azione. Mentre la superficie del pianeta ricopriva a poco a poco tutti gli schermi, la trepidazione era stata soppiantata dall’adrenalina. Ormai erano in gioco.

Mentre scorreva la sua routine, per prepararsi all’imminente discesa, Meria non riusciva a non chiedersi quanto davvero questa scoperta avrebbe influito sul loro futuro, sulla loro civiltà. Avanzare con il viso costantemente rivolto al passato poteva essere pericoloso.

Anche se il loro corredo genetico più antico proveniva probabilmente da qui, era stato talmente modificato, evoluto, cosa poteva essere rimasto dentro di loro da accomunarli a queste creature del passato?.

Tutti i componenti dell’equipaggio erano stati scelti per il loro schema genetico. Ognuno esperto e competente nel proprio specifico campo di interesse. Ognuno parte integrante di uno schema, di un progetto più ampio, che li conteneva, ma non li comprendeva.

Questa scoperta invece di attutirla, aveva accentuato, in Meria, la sensazione di scollamento da tutto ciò che una volta le sembrava imperativo, tanto da farle pensare di essere parte di due realtà, che la attraversavano.

“È stato davvero un caso fortunato captare quello strano messaggio.” aveva esordito il suo compagno mentre procedevano nella perlustrazione. I rilevatori segnalavano un ambiente dai parametri  vitali minimi. L’aria era respirabile, ma intrisa di sostanze potenzialmente dannose. 

Attorno a loro, più che segnali di vite passate, si stagliava una desolazione malinconica. Se questo era davvero il pianeta d’origine, le migrazioni spaziali non erano state dettate da uno spirito di conoscenza e scoperta, come decantato nei miti di fondazione, ma piuttosto da una vitale necessità.

Si stavano dirigendo verso una strana anomalia spaziale rilevata nel mezzo di una laguna, da cui proveniva il messaggio che avevano captato. L’oscurità, ormai stava prendendo il sopravvento, nonostante i potenti fasci di luce che si sprigionavano dalle loro tute, era inutile cercare di raggiungere la destinazione di notte. 

Una coltre biancastra saliva dalla vicina laguna, che rendeva l’aria notturna quasi gelatinosa. Nonostante i respiratori e le tute, aveva la sensazione che quell’agglomerato di umidità le entrasse dentro, lasciando dietro di se una sensazione di disagio che la disturbava. Per occupare la mente iniziò a preparare l’accampamento base, come tutti i suoi compagni. Con la luce del giorno forse avrebbero avuto le risposte che cercavano.

Il sorgere del sole portò ogni membro dell’equipaggio al limitare delle acque. Quasi istintivamente si erano diretti sotto la protezione di ciò che restava di due bastioni eretti all’entrata di un lungo ponte, semidistrutto, ma ancora attraversabile. Alla fine del ponte, l’Isola si stagliava intatta davanti a loro. Attorno sembrava non esistere più nessuna traccia dei loro antenati, a parte questa Isola solitaria, ma non abbandonata.

Perché questo luogo era stato conservato con tanta cura? Anche da questa distanza, i palazzi che ne disegnavano il confine parevano usciti da uno di quegli antichi supporti cartacei: le cartoline. 


BUIO. Non era mai stata davvero al buio, un buio così…oscuro. Nelle astronavi c’è sempre luce, anche durante il sonno vengono trasmesse luci a frequenze particolari per favorire il riposo, così come negli alloggi planetari. Questo era il suo primo Buio. In fondo sapeva che sarebbe arrivato questo momento anche per lei. Dovevano decidere se avesse vissuto appieno la sua vita, per valutare se assegnarne una nuova. Qui, sdraiata, inerme, aspettava che il Consiglio valutasse la sua esistenza. Nel frattempo, brandelli di vita le cadevano addosso dallo schermo della sua cellula, bagliori vitali che sferzavano il Buio. Questo era il Ciclo. Ogni essere senziente vi si doveva sottoporre prima o poi. Pochi avevano ottenuto nuove assegnazioni di vita. Ad ogni nuova assegnazione crescono le possibilità di intrusioni del passato. La nuova vita non poteva avere memoria di quella precedente. Troppo destabilizzante, troppo pericoloso. Perché allora, mentre le   ultime immagini di quella strana Isola si riversavano su di lei, Meria aveva la netta sensazione che invece questo Buio l’aveva già visto?!.


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